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IL PELLEGRINO E L'ARCANGELO


Il pellegrino, di ritorno dalla grotta-santuario di monte Sant’Angelo, riportava a casa le “vainèlle”, i cavallucci di pasta di cacio, i cedri, le statuine del Santo di alabastro, le piume colorate, qualche sassolino divelto dalla roccia del luogo di culto. E i bambini del paese a far festa intorno alla sfilata della “Compagnia di San Michele”.
Era un avvenimento che si ripeteva in maggio da sempre, da quando la devozione al Santo si diffuse nell’Italia centro-meridionale lungo le vie della transumanza e il culto micaelico, favorito anche dagli ordini benedettini e francescani, dette luogo al nascere di numerose chiese, cappelle, edicole prevalentemente edificate in luoghi elevati, quasi segno della capacità trasvolante dell’Arcancelo.
Furono i pellegrini per la Terra Santa a conoscere nel luogo d’imbarco per l’Oriente, i porti della Puglia, il culto di San Michele e a diffonderlo poi in Europa fino alla singolare penisoletta normanna di Mont San Michel.

Certamente furono i pastori della transumanza di Abruzzo e Molise a trasmettere nell’area territoriale la devozione a San Michele: con le loro greggi partivano dall’Appennino verso il Tavoliere il 29 settembre e ripartivano dalla pianura alla montagna intorno all’8 maggio, date non casuali in cui per tradizione si fanno cadere le due apparizioni del Santo avvenute più di 15 secoli fa a San Lorenzo Maiorano, vescovo di Siponto, che invitò la popolazione a pregare nella grotta consacrata a San Michele, ove i fedeli trovarono un altare in pietra ricoperto da un panno rosso su cui era posata una croce di cristallo, mentre l’impronta di un piede infantile su una pietra confermava la presenza dell’Arcangelo.
Sono i tempi in cui nelle culture agro-pastorali i riti propiziatori pagani vengono soppiantati da quelli cristiani e viene invocata dai viandanti, pastori, mercanti, pellegrini la protezione di San Michele e della Vergine Maria, spesso raffigurata anch’ella in posizione elevata tra il fogliame degli alberi.

Anche nella terra di Riccia, notevole centro agricolo, la cospicua partecipazione al pellegrinaggio verso il “Monte” testimonia il fervore religioso della gente verso questo santo che, puro spirito, vince il demonio mettendolo in fuga. La “compagnia”, spesso guidata da un capo laico, affronta con spirito devoto i disagi del percorso penitenziale effettuato a piedi, sopporta la fame e la sete, dorme nelle stamberghe su sacchi di paglia, percorre in ginocchio l’ultimo tragitto, ed esplode in un inno di lode nel santuario, tra le viscere della terra, che di per sé inducono allo sgomento e alla contrizione.
Berengario Amorosa annota nel suo testo “Riccia nella storia e nel Folklore” che i partecipanti ai vari pellegrinaggi (San Michele, San Nicola di Bari, L’Incoronata di Foggia, Santa Lucia di Sassinoro, Santa Filomena di Mugnano, La Madonna di Castelpetroso o di Pompei) potevano essere ogni anno circa duemila, spinti sia dal sentimento religioso, sia dal desiderio di conoscere nuovi luoghi e usanze, sia dal bisogno di evasione.
La pietà religiosa nel nostro paese si espresse anche con la presenza della Chiesa di S. Angelo posta nelle prossimità della località Casale, ove si svolgevano le fiere dell’8 maggio e del 29 settembre, andata distrutta dal terremoto del 1688. Il Santo nel 1725 fu designato anche compatrono del paese insieme a S. Agostino.

Il culto di San Michele nell’Ottocento si rinnovò con la costruzione di una chiesetta al vertice della collina che sovrasta Riccia, il Trono, fatta erigere nel 1833 dal possidente Giuseppe Moffa per grazia ricevuta, successivamente ampliata dal nipote abate d. Salvatore Moffa e corredata di una torre campanaria eretta nel 1914.
Come nel passato così oggi la chiesetta di San Michele è luogo sacro dove si recano i fedeli attraverso un percorso in salita erto e faticoso, simbolo del cammino penitenziale estenuante, ma possibile, che ciascuno è destinato a cercare e percorrere. A Riccia, per volontà del buon Dio, questo itinerario sembra più lieve perché rischiarato dalla parola ispirata e sapiente di don Salvatore Moffa, degno discendente di una famiglia tutta votata alla devozione di un Santo amato dagli umili e dai potenti.

COME NASCE LA FESTIVITA’

Il sentimento religioso dei riccesi, stimolato anche dalla presenza de luogo consacrato, generò il desiderio di mettere in atto i festeggiamenti nelle due date tradizionali, festeggiamenti più rilevanti nella data del 29 settembre. Infatti già dal 1978 nacque una commissione, formata da persone prevalentemente abitanti nella zona più vicina alla cappella (largo Airella, via Mulattieri e salita San Michele) incaricata di effettuare la questua nel paese e nelle campagne per raccogliere fondi utili ai festeggiamenti.
Hanno fatto parte della commissione: i Sig.ri Salvatore Picone, Gaetano Mascia, Antonio Riccitelli, Vincenzo Alberti, Michele Reale e Michele Migniogna. A questi già dagli anni 1980-81 si sono affiancati i Sig.ri Giovanni Poce (tuttora presidente), Carmine Viscusi, Giuseppe Fanelli, Michele Moffa, Giovanni Viscosi e Michele Mignogna (già facente parte della vecchia guardia).



Robertino

 


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